Intervista a Tim Lucas

Renfield è, a livello letterario, un personaggio di Dracula, forse minore, senz’altro ampiamente sottovalutato. Eppure sin dalla trasposizione cinematografica di Murnau e poi in molti adattamenti successivi, assume un’importanza strategica. Come spiega questo interesse del cinema nei confronti del personaggio?

Da un punto di vista narrativo, mettere a fuoco Renfield è un modo per mantenere la presenza di Dracula nella storia (egli “possiede” Renfield e, si potrebbe dire, Renfield diffonde il suo “vangelo”) mentre Dracula stesso resta più potentemente fuori scena. Renfield, inoltre, offre ai filmmaker la possibilità di spingere sul pedale dell’orrido, cosa impossibile per Dracula a meno che non si voglia sacrificare in parte la sua regalità. Da un certo punto di vista, Renfield incarna il lato mostruoso del vampirismo mentre Dracula ne incarna quello romantico.

Paradossalmente anche se il suo romanzo non ha niente a che vedere con il Nosferatu di Murnau, esso ha questo in comune con quello: il fatto che Renfield ci obbliga a prendere in considerazione il contesto nel quale vive e che lo giudica matto. Questo fatto è solo potenziale in Stoker, ma è uno dei temi più intriganti del suo libro. Potrebbe raccontarci come ha tratteggiato questo reciproco rispecchiamento tra Renfield e la società nella quale vive?

Ad essere completamente onesto, il mio approccio alla scrittura del romanzo è stato solo in parte calcolato e gli aspetti più calcolati sono stati introdotti durante l’edizione del volume e nelle fasi di riscrittura. Una buona parte del libro è stata virtualmente scritta direttamente dal mio subconscio.
Ciò che era conscio è che volevo che Renfield mantenesse analogie con la descrizione biblica di Giovanni il Battista, un profeta apparentemente pazzo e zoofago che raccontava a tutti dell’avvento del suo Signore. Volevo anche che Jack Seward vedesse in Renfield un riflesso funesto di cosa sarebbe stato di lui qualora fosse stato privato dell’amore e della presenza di Lucy. Ad ogni modo molto di ciò che ho messo in Renfield viene da episodi della mia infanzia: mio padre è morto per un problema congenito al cuore poco dopo la mia nascita e mia madre aveva problemi psicologici così io avevo precisa cognizione della vita all’interno di un sanatorio sin dalla più giovane età e sono stato cresciuto in case-famiglia dove storie di solitudine, di fuga nella fantasia e di abusi fisici erano all’ordine del giorno.

In che modo le versioni cinematografiche di Renfield l’hanno aiutata nella definizione del protagonista del suo libro? E quali sono state le versioni cinematografiche di Dracula da cui pensa di avere attinto maggiormente?

Poiché il mio romanzo è concepito come un gemello siamese del Dracula di Stoker, e anzi in un certo senso se ne nutre, era importante per me rimanere fedele a Renfield così com’era descritto nel romanzo originale. Di tutti i Renfield che si sono visti nei film il più fedele al romanzo non si chiama neanche Renfield, ma è il Ludwig che appare in Dracula prince of Darkness (1965) di Terence Fisher e che è interpretato da Thorley Walters. È un tipo grassoccio, nervoso, di mezza età, stile contabile che mangia le mosche quando nessuno lo guarda. Nell’edizione originale inglese di Il libro di Renfield ho accreditato diversi attori come fonte di ispirazione: Dwight Frye, Klaus Kinski, Peter MacNichol (dalla commedia di Mel Brooks Dracula morto e contento) e altri. Uno che mi rammarico di non aver menzionato è Pablo Alvarez Rubio dalla versione spagnola del Dracula del 1931; la sua è una delle interpretazioni migliori ed riuscito ad interpretare scene che sono state tagliate alla performance di Dwight Frye nella versione americana.

In The book of Renfield il binomio corpo-anima assume un’importanza decisiva. Il fatto che Renfield debba cibarsi di animali lo pone in netto contrasto con le sue convinzioni animistiche ed egli mal tollera l’idea che per perseguire i suoi scopi debba tradire la fiducia che gli animali hanno in lui. Questo è probabilmente l’aspetto più moderno del suo libro. Mentre in Stoker il sangue celava la metafora del sesso (realtà invisa dai vittoriani) in The book of Renfield esso è, invece, metafora della deperibilità del corpo e quindi rappresentazione della morte. Come ha concepito questo stravolgimento di senso rispetto all’originale di Stoker?

Sono una persona molto empatica e spesso mi capita di percepire lo stato d’animo di alcuni amici intimi anche se si trovano a miglia di distanza. Ho sempre amato gli animali e provo eguale empatia nei loro confronti; ho spesso pensato che se gli animali potessero scrivere o condividere con noi ciò che sanno della loro esperienza terrena, la storia che narrerebbero sarebbe troppo straziante per essere letta. Il libro di Renfield è prima di ogni cosa la storia dei primi anni di vita di Renfield e di come la sua infanzia l’abbia modellato sino a renderlo il pedone ideale del conte Dracula. Molto di ciò che gli accade sembra una premonizione di ciò che ancora deve succedere e tutto ciò che gli accade l’ho ricavato dalla mia stessa visione della vita. Mi è sembrato, nel raccontare la storia di Renfield, che nel suo essere solo a causa dell’ostracismo degli altri bambini, egli doveva cercare e trovare conforto negli animali. Così, quando egli diviene pedone di Dracula (che gli offre un potere su tutte le altre persone) la cosa doveva verificarsi attraverso il più grande tradimento alla sua stessa natura: essere costretto da Dracula a nutrirsi delle sole creature che avevano mai mostrato gentilezza nei suoi confronti.

Ma ciò ci porta a parlare di una strana ed interessante differenza tra Dracula e Renfield una volta che questo è diventato suo discepolo: le implicazioni asessuate del suo cammino all’immortalità. Si è trattato di una scelta consapevole?

C’è molto di Dracula che attrae Renfield: il suo mantello, ad esempio, gli ricorda di quando era stato avvolto, bambino, nel mantello del vicario durante lo spettacolo notturno del volo dei pipistrelli sopra la canonica. Inoltre Dracula rappresenta la ribellione contro le delusioni provate da Renfield nei confronti della Chiesa. Ma mi sembrava che queste cose non fossero sufficienti perché Dracula potesse reclamare l’anima e il corpo di Renfield. Egli doveva essere in grado di dare a Renfield ciò che più aveva desiderato dalla vita, vale a dire l’amore di una madre. Io credo inoltre (e non ho mai visto questo tema molto esplorato dalla fiction incentrata sui vampiri) che lo stesso atto del vampirismo, col suo bere un caldo e rigenerante fluido corporeo, può essere visto come metafora di un ritorno al seno materno. La metafora è, in verità, piuttosto esplicita nel Dracula di Stoker nella scena in cui il vampiro usa la sua unghia per incidere il suo petto affinché Mina possa succhiare il sangue dalla ferita divenendo con questo sua schiava. Tutto questo ha anche una dimensione religiosa. Così ho letteralmente trasformato Dracula in una figura materna per Renfield, non solo la figura di una madre, ma una figura che è anche parzialmente animalesca, perché il personaggio riesce ad amare solo gli animali. La scena in cui Milady (la forma femminile di Dracula) si porta al seno Renfield, l’ho scritta nello stile estatico del monologo di Molly Bloom nell’Ulisse, uno dei passaggi letterari più erotici della letteratura, e spero che la cosa sia stata resa bene nella traduzione italiana.

Questa visione del corpo, con la carne e fluidi corporei in cui, se di sperma si parla, esso è comunque secco, libera il discorso dalle componenti sessuali e lo spinge su una dinamica diversa in cui si avvera un secondo binomio quello di mente e corpo. La realtà del manicomio con le vicine rovine che sono luoghi della mente rievocano alla nostra memoria Spider di Cronenberg,il fatto che nelle feci del personaggio restino le parole della Bibbia riconduce a The naked lunch, mentre il fatto che dalla bocca di Renfield fuoriesca una mistura di sangue e latte materno ci riporta ai lidi di Brood. Quanto c’è di Cronenberg nel suo libro?

Questi sono miei temi. Oppure un’estrapolazione dei temi di Stoker. La vicinanza dell’abbazia al manicomio è la stessa che c’è in Dracula. Tuttavia c’è una connessione con Cronenberg.
Quando ho scoperto il lavoro di David Cronenberg alla fine degli anni settanta, l’ho preso a livello molto personale.
Il titolo del mio primo romanzo inedito, che ho scritto nel 1975 a diciotto anni, era The audience becomes flesh, che suona molto cronenberghiano, eppure il primo film di Cronenberg (Shivers) è stato realizzato lo stesso anno. Ho conosciuto Cronenberg nel 1981 e siamo diventati amici; è stata la prima persona tra quelle che ho incontrato a condividere con me il profondo interesse per campi così disparati come possono essere i film dell’orrore e, per esempio, i romanzi di Vladimir Nabokov. A quei tempi era piuttosto inusuale che qualcuno potesse ammirare allo stesso modo il lavoro di Nabokov e quello, per dirne una, di William S. Burroughs, perché erano considerati membri di due scuole completamente diverse. Incontrare Cronenberg è stato come incontrare una immagine speculare e più mondana di me stesso. Francamente il risultato di questo incontro è stato perdere per alcuni anni la mia identità e le mie ambizioni. Infatti ho passato i successivi sette anni a scrivere più che altro sui film di Cronenberg per giornali di tutto il mondo. Io sono stato il solo giornalista ad essere ammesso sul set di Videodrome (ho scritto un libro sulla realizzazione del film che è stato pubblicato un paio d’anni fa in occasione del venticinquesimo anniversario della pellicola). Ed ho anche visitato i set di La zona morta e La mosca. Ho una registrazione di un’intervista nella quale si può sentire come io raccomandai molto a Cronenberg la lettura di Crash di J. G. Ballard che lui traspose in film quindici anni dopo. Anche Il pasto nudo è venuto fuori a causa mia. Conoscevo James Grauerholz, il segretario di Burroughs che, quando venne a conoscenza del mio legame con Cronenberg mi chiese di indagare sulla possibilità che David fosse interessato a dirigere un film su Il pasto nudo in vista del fatto che la salute di Burroughs stava venendo meno e che lui desiderava tanto vedere un film tratto da un suo libro prima di morire. Così li ho fatti conoscere e poiché Cronenberg era impegnato nello script ti Total Recall (film che non ha mai realizzato) gli ho chiesto se non gli dispiacesse se io provavo a mettere mano a quello di Il pasto nudo. Così ho finito due stesure preliminari di uno script sul libro per fare un favore a Cronenberg. Ciò che avevo scritto, però, era troppo fedele al romanzo per essere utilizzato, ma sono stato io a suggerire l’idea di interlacciare episodi dal romanzo con episodi tratti dalla vita di Burroughs, come quello in cui egli sparò incidentalmente alla moglie. Cronenberg decise di scrivere la sceneggiatura da solo e così le nostre strade si divisero. È più o meno in questo periodo che io cominciai a scrivere scripts per fumetti, attività che culminò nel mio primo romanzo Throat Sprockets, e che fondai la mia rivista Video Watchdog che è arrivata al suo ventunesimo anno.
Così devo dire che questi elementi erano in me e nel mio lavoro già prima che li scoprissi in Cronenberg. Ad ogni modo accetto l’idea che la vicinanza col suo splendido lavoro mi abbia aiutato ad elaborare certi aspetti di questi temi.

C’è qualcosa di non rivelato alla fine del tuo libro ed ha a che vedere con le Quattro facce del vampiro che sono anche le Quattro facce di Carfax e probabilmente ha qualcosa a che vedere con i quattro evangelisti. Questa cosa mi sembra fosse assente in Stoker. Da dove ha tratto l’idea di questo numero quattro costantemente ricorrente?

Ci sono molte ragioni per questo, alcune le ho capite dopo aver completato il romanzo. Prima di tutto per dare a Dracula un senso di imminente avvento apocalittico. Il vampiro ha quattro facce perché Dio si presenta a noi con tre: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Il mazzo dei tarocchi, che è la nostra guida al soprannaturale, è diviso in quattro colori. Allo stesso modo il mondo e la sua composizione sono divisi in quattro elementi, stagioni e direzioni. Un sito Internet sui tarocchi descrive il numero quattro come la “base archiettonica per un oracolo molto potente”. Ma più di tutto volevo mostrare come la religione venisse pervertita dallo sguardo di Renfield. Il sottotitolo del mio romanzo in inglese è Un Vangelo di Dracula, così io volevo che risuonasse numericamente con gli evangelisti e con gli altri “quattro” presenti nel romanzo. Se il tema è lasciato irrisolto è perché non trovo saggio spiegare ogni cosa in un libro. C’è tanto mistero nella vita che non può essere spiegato. E parte di questo mistero è genuinamente matematico.

Dalla visione della morte di cui parlavamo prima si intuisce anche il senso del finale davvero apocalittico che si riallaccia all’incubo dell’11 settembre. Osama Bin Laden come il nuovo vampiro?

Mentre scrivevo il romanzo ed ero incerto circa l’epilogo, ci fu l’attacco dell’11 settembre. Un mio amico, Richard Harland Smith, uno scrittore e critico che vive a New York scrisse su un forum online che lui e la sua fidanzata si stavano leggendo reciprocamente Dracula ad alta voce prima dell’attacco e che quando continuarono a farlo dopo l’attacco si accorsero che gli stati d’animo dei personaggi del romanzo erano identici a quelli espressi dalle persone che si incontravano tra le strade di Manhattan in quei giorni. Ho chiesto a Richard il permesso di includere il suo testo nel romanzo e lui me l’ha dato. I lettori pensano che si tratti solo di un altro personaggio inventato, ma ciò che è scritto è assolutamente vero ed è preso dalle pagine di un vero sopravvissuto dell’11 settembre. Allo stesso tempo ho visto tutti i media americani dare la colpa a questo mitico demone del deserto, Bin Laden ed ho subito colto un altro parallelismo. Quello tra un uomo, che si nasconde di giorno archietettando un primo passo nella conquista di una grande nazione e Dracula che fa la stessa cosa contro l’Inghilterra. E se questa conquista avesse avuto successo, l’America sarebbe sicuramente stata il passo successivo della campagna del vampiro. Così questa calamità era coerente con gli sviluppi del mio romanzo ed ho colto quest’opportunità per attaccare la tendenza contemporanea di accostarsi o incorporare ciò che un tempo era considerato “male”. Così mi sono riferito a cose come la marca di cereali Cont Chocula (e, se il libro fosse stato scritto oggi, avrei incluso la serie di Twilight) che vedo come un poco salutare modo di romanzare personaggi che ci risulterebbero malsani se fossimo una società in migliori condizioni di salute. La nostra simpatia per vampiri e zombies nell’industria dello spettacolo contemporanea, io credo sia indicativa di come vediamo noi stessi.

Il libro, nella realtà come nella finzione, non è uscito in tempo per le celebrazioni del centenario di Dracula. Come è stato accolto dai puristi del capolavoro di Stoker?

Infatti Il libro di Renfield era stato pensato per il centenario di Dracula, ma la mia agente non è riuscita a trovare un editore che avesse interesse a farlo uscire in coincidenza con il centenario. Sono passati dieci anni tra la stesura delle prime cinquanta pagine e il momento della sua effettiva pubblicazione. Quando la mia agente ha trovato un editore interessato mi ha chiesto: “Pensi di poterlo scrivere ancora?” e certamente io potevo e l’ho fatto, ma ho continuato ad inventare e ad arricchire il libro sino alla terza stesura. Il mio editore mi aveva detto che non mi avrebbero mai permesso più di due correzioni di bozze, ma ho combattuto per averne una in più ed è stato proprio lì che il romanzo si è arricchito maggiormente. Sfortunatamente le copie inviate alla stampa erano stampe della seconda stesura. Appena uscito Il libro di Renfield non è stato recensito molto ampiamente e quel poco che se ne è scritto era relativo, comunque, ad una bozza. Non ha poi aiutato il fatto che la sua uscita sia coincisa con The historian di Elizabeth Kostova, un altro libro su Dracula che era stato comprato per due milioni di dollari ed aveva avuto la promozione di un best seller. Quanti libri su Dracula possono essere comprati dalla gente in una sola estate? Il fatto poi che io abbia osato introdurre l’11 settembre come snodo narrativo di una cosa così triviale come l’horror ha finito per offendere alcune persone che pensavano fosse invenzione ciò che invece era l’osservazione di qualcuno la cui vita era stata toccata simultaneamente da Stoker e Bin Laden. Sono felice di dire che Il libro di Renfield ha ricevuto una più calda risposta dalle persone che hanno letto la versione finale del libro. Ho ricevuto complimenti su come ero riuscito a simulare la voce di Stoker e il suo stile pur rimanendo fedele alla mia visione.
Sono molto orgoglioso di Il libro di Renfield. E credo che ne potrebbe venire un ottimo film se a dirigerlo ci fosse qualcuno come Guillermo del Toro (che ama le icone e gli insetti) o Tim Burton. In particolare penso che la parte finale del romanzo – l’appendice che contiene un dialogo tra Jack Seward e Lucy Westenra – sia una delle cose migliori che io abbia mai scritto. L’ho scritta un giorno che sapevo di dover scrivere un altro capitolo per attenermi al mio programma, ma non riuscivo ad andare avanti, così ho preso i personaggi, li ho fatti sedere in una stanza e li ho fatti parlare senza sapere dove la cosa avrebbe condotto. Ho così amato il risultato che l’ho inserito nel romanzo come appendice senza chiarire al lettore se si tratti di una cosa che è successa davvero ai personaggi o è solo frutto di immaginazione. In effetti potrebbe anche essere un tentativo di Jack Seward di scrivere un romanzo il che getterebbe un’ombra di sospetto sull’autenticità delle cose lette fino a quel momento.
Anni dopo averlo scritto ho capito che, in questo capitolo, io stavo scrivendo ad una donna proveniente dal mio stesso passato, una persona che ho amato molto. Dopo che il libro è stato pubblicato ci siamo reincontrati ed abbiamo cominciato a scriverci dopo trentasei anni di distacco. È stato solo allora che ho capito, quasi per beffa, che lei era la mia Lucy e che io ero Jack. L’appendice si è rivelata profetica perché la mia amica – ora sposata, come me – e suo marito sono in realtà il Lord e la Lady di una vera tenuta inglese. Così quando Jack chiama Lucy Milady, alla fine del romanzo, utilizza l’appellativo che qualche volta io ora uso con la mia amica. Così il romanzo non contiene solo storie dal mio passato, ma sembra contenere allo stesso modo anche elementi del mio futuro.

 

 

Leggi la recensione de Il libro di Renfield edito da Gargoyle

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