Magnifica presenza di Ferzan Ozpetek

Magnifica presenza

Si apre alla chiusura il sipario di Magnifica presenza. E si spalanca non su un vuoto, ma su una finzione che fa ridere dietro un velo di lacrime. O che fa piangere con un sorriso mesto, a mezze labbra. Superba parabola d’attor superbo (Elio Germano) che si consuma nella lunghezza dei titoli di coda.
Il vuoto, semmai è fuori. In piccoli gesti di ordinaria incomprensione. In momenti dolenti di un continuo sfiorarsi senza dialogo, nell’abbruttimento di personaggi che non parlano e che restano alla continua ricerca di un autore. Demandando ad “altro” il senso del loro fallimento, la loro incapacità ad essere se non per gli altri (la riflessione al centro di Cuore sacro) almeno con gli altri.
Magnifica presenza comincia in levare, su un tono da commedia che strappa risate ad ogni passo, ma ad ogni passo ricade nella tragedia possibile della perdita di senso. Puro sentimento del contrario, il film gioca con quegli specchi che è impossibile lavare, che restano sempre incrostati di vecchio e davanti al quale ci sono statuine che guardano sempre dalla parte sbagliata. Verso l’immagine riflessa per i fantasmi che il nostro mondo non lo conoscono, ma lo intuiscono nel suo chiuso solipsismo. Verso la sala, e quindi verso il mondo, per il giovane protagonista, quasi un augurio per un’esistenza eterocentrata, libera e franca nel rapportarsi all’altro.
Gli specchi si moltiplicano nelle maschere, nelle situazioni ora notturne, ora diurne, ora al di qua, ora al di là della superficie riflettente. I compagni di lavoro, coi quali fare cornetti la notte e coi quali è precluso ogni tipo di dialogo, da una parte, e le cameriere del bar di fronte casa che quei cornetti (magari non gli stessi) li consumano e li fanno consumare e che replicano quella stessa mancanza di dialogo nella logorrea di un fiume di parole che dice poco, pur nella simpatia che il regista dimostra per personaggi minuti e poco al di sopra della macchietta. Immagini speculari, appunto, una prima e l’altra dopo la veglia. Separate appena da un battito di ciglia che si fa dolce solo se l’amante ci soffia sopra a disperdere il sonno.
Il mondo è brutto. Ci dice Ozpetek, con dolcezza solo in certi e rari punti appesantita di melassa. Non c’è niente di bello in una realtà che è un impermeabile asciutto ad ogni pioggia, in cui nessuno riesce mai davvero ad essere vicino ad un altro. Ritratto romano, certo, di una capitale sempre più affannata di esistenze che non sanno più parlarsi, ma ritratto soprattutto d’una condizione esistenziale che sempre più si chiude nello schermo di un computer e con un Google che ha una risposta ad ogni domanda ed una chat in ogni stanza a donarci l’illusione di un dialogo. E la risposta a tanto affanno sembra essere sempre più quella del rifugio in fantasmi privati. Figure con cui parlare, attraverso le quali risolvere i conflitti del mondo degli svegli, che dormono, forse, assai più dei sogni stessi.
Ma i fantasmi di Magnifica presenza esistono davvero. Anche perché la finzione, pirandellianamente, si ribalta nel Reale e colleziona figurine. Nascono, questi fantasmi, dalla stessa temperie di La finestra di fronte, altro gioco di specchi doloroso più che non si creda, da cui ereditano un nome, Veroli, qui interpretato da Andrea Bosca che par quasi sempre che fluttui sullo schermo del rimpianto.
Figure arcane, giammai grottesche, segnano un bisogno di memoria che va oltre il silenzio, che si incarna in un senso di Roma città che sta sotto quegli intonaci delle metropoli che ambiscono a farsi semplice meta turistica. Ma soprattutto galleria superba di personaggi sotto cui si indovina prima di tutto un amore viscerale (e certamente ricambiato) per gli attori.
In questi dialoghi sfiorati sta il senso dolente d’un film dolce e sofferto, al gusto di zucchero e limone. Contraddizioni che non si sciolgono neanche nel finale, quando restano inespressi, impossibilitati a prender corpo, sia l’amore di sogno tra il ragazzo e il fantasma (chiuso appena in sguardi d’un compianto per il non è stato) sia l’amore possibile col vicino di casa (gemellati sin dai nomi: Pietro e Paolo), tentazione d’una quiete domestica che lo spettatore coglie, ma che sfugge al giovane Pietro troppo intento ad inseguire altro.
Il tutto a confluire in un finale arcano che chiude aprendosi, sciogliendo senza risolvere, rasserenando, ma senza trovar pace. Magica confusione di opposti che modula al maggiore un tema che sospira sempre, a ricordarlo, in minore.
Ozpetek firma il suo film più ambizioso, forse anche il più riuscito. Certamente uno che è difficile non amare di cuore.

 

(Magnifica presenza); Regia: Ferzan Ozpetek; sceneggiatura: Federica Pontremoli; fotografia: Maurizio Calvesi; montaggio: Walter Fasano; musica: Pasquale Catalano; interpreti: Elio Germano, Margherita Buy, Paola Minaccioni, Giuseppe Fiorello, Vittoria Puccini, Andrea Bosca, Alessandro Roja, Claudia Potenza, Gea Martire, Monica Nappo, Bianca Nappi, Platinette, Massimiliano Gallo, Anna Proclemer, Cem Yilmaz, Ambrogio Maestri, Matteo Savino, Giorgio Marchesi, Gianluca Gori, Eleonora Bolla; produzione: Fandango e Faros Film con Rai Cinema; distribuzione: 01 distribuzione; origine: Italia, 2012; durata: 105’

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