La Valigia dei destini incrociati – lo spettacolo

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con Margherita Vicario, Salvatore Caggiari, Elio D’Alessandro, Maurizio Stammati
Costumi: Barbara Caggiari
Luci: Antonio Palmiero
Suoni: Paolo Bellipanni
Scenografie: Carlo De Meo
Aiuto regia: Francesca De Santis
Regia: Maurizio Stammati
una produzione Teatro Bertolt Brecht – Teatri Riuniti del Golfo

con Margherita Vicario, Salvatore Caggiari, Elio D’Alessandro, Maurizio Stammati
Costumi: Barbara Caggiari
Luci: Antonio Palmiero
Suoni: Paolo Bellipanni
Scenografie: Carlo De Meo
Aiuto regia: Francesca De Santis
Regia: Maurizio Stammati
una produzione Teatro Bertolt Brecht – Teatri Riuniti del Golfo

TITOLI

LO SPETTACOLO

Una stazione ferroviaria italiana. Un capostazione gentile che ha fatto del posto di lavoro una sua seconda casa. Una cassiera innamorata, ma non troppo di un insegnante di educazione fisica ispirato dall’ideologia fascista. E Angelo, che passa le giornata aiutando i viaggiatori a portare le loro valigie. Perché Angelo, con le valigie, ci parla. E loro gli rispondono. Almeno così dice lui, quando la gente glielo chiede. In questo microcosmo ideale, figlio del 1943, a un certo punto arriva e non arriva David, bimbo ebreo che scappa e si nasconde dagli occhi di tutti. Soprattutto dagli occhi del pubblico. La sua venuta obbliga ognuno a prendere la sua decisione e a fare la sua scelta.

“Sulla scena c’è solo l’Italia e solo il goffo tentativo di raccontare i campi di concentramento e sterminio in una lingua che non è la nostra, ma quella delle valigie, testimoni non più mute, ma sempre difficili da interpretare correttamente, dell’orrore”
Alessandro Izzi

“Il vero problema era riuscire a stare in equilibrio sulla lama del rasoio senza farsi male. Come fare a raccontare la più grande delle tragedie contemporanee senza scadere nella retorica, senza rinchiuderla nel nero di quella brutalità, ma anche senza banalizzarla o peggio ancora ridicolizzarla? Alessandro prende il toro per le corna, sceglie una stazione come luogo della rappresentazione, luogo simbolo del passaggio dalla vita alla morte e sceglie un bambino come emblema della fuga dalla morte per la vita e sceglie le valigie come custodi delle storie, come conchiglie alle quali il bel personaggio di Angelo – il fattorino – accosta il suo orecchio per ascoltarle.”
Maurizio Stammati

La critica

“L’autore lavora, attraverso il meccanismo dell’immedesimazione, profondissimo nel pubblico infantile, su un tema decisivo per la peculiarità psicologica degli spettatori bambini: la paura di essere scoperti, pur senza terrorizzarli. Questo punto è il cuore del contatto tra il testo teatrale e la Shoah. Non c’è un gioco sul sentimentalismo spiccio. Non c’è un lavoro sulla contrapposizione statica, come in La vita è bella, tra vita e morte, tra bene e male. Qui si prova, in un frammento di rappresentazione, a far intuire l’orrore del dover nascondersi. Non c’è bisogno di indugiare sulle conseguenze. Perché il male si annida lì, nel perseguitare e nell’essere oggetti d’odio, prima che nell’universo concentrazionario.”
Carlo Scognamiglio, recensione al testo in Esc@rgot

“L’universalità e l’armonia del linguaggio di questa pièce è un dolce cullare gli animi feriti dalla crudeltà dell’uomo che come in tutte le fiabe più belle viene emblematicamente sconfitto grazie all’amore di un bambino, futuro e speranza di un mondo migliore.”
Monia Manzo (Close-up)

“I molteplici riferimenti storici, letterari e cinematografici, che spaziano dall’ironia dei racconti yiddish alla base del breve intermezzo con i burattini, ai testi di Primo Levi e a film come Train de vie e La vita è bella (a Benigni è anche ispirato il nome dello stolto fascista Roberto) vengono interiorizzati all’interno di un piccolo racconto morale che sfiora la purezza narrativa di Gianni Rodari, soprattutto negli interventi di Angelo, una sorta di Candide, adulto ancora in contatto col suo io bambino e perciò in grado di capire il “valigiese”, la lingua delle valigie, che raccontano “la storia di tanti e nessuno”.
Fabiana Proietti (Sentieri Selvaggi)

Lo spettacolo – rievocando un topos consolidato come quello del treno – riesce nell’intento didattico, perché comunica messaggi complessi con parole semplici e con immagini forti, insistendo molto sul rapporto tra le idee e le parole stesse.
Martina Micillo (Forumnews)

Un testo scritto per il teatro che sembra adattarsi perfettamente anche ad una lettura come semplice racconto, oppure come rievocazione storica ma con un linguaggio semplice e al tempo stesso diretto e quasi poetico, che non nasconde ma -anzi rafforza ancora di più- l’assurda atrocità di quelli anni ancora oggi inspiegabili.
Roberto Zadik (Mosaico)

Non sono tempi belli per i bambini ebrei in Italia e, tra cinegiornali che manipolano la realtà e notizie di Roma colpita dai bombardamenti degli Alleati, in scena troviamo la già citata ferrovia spezzata, dei lampioni, una panchina, che ci riportano a L’uomo dal fiore in bocca di Pirandello, l’ufficio della stazione dove campeggia il gabbiotto di Alessia e un orologio, simulacro quest’ultimo di un tempo malato che gira a vuoto. Le luci sono soffuse, sempre minacciate dall’ombra e diventano testimonianza della strategia di Angelo e Michele per salvare il piccolo David.
Giammario Di Risio (Close-up)

Il testo della commedia è edito da deComporre edizioni.

Una stazione ferroviaria italiana. Un capostazione gentile che ha fatto del posto di lavoro una sua seconda casa. Una cassiera innamorata, ma non troppo di un insegnante di educazione fisica ispirato dall’ideologia fascista. E Angelo, che passa le giornata aiutando i viaggiatori a portare le loro valigie. Perché Angelo, con le valigie, ci parla. E loro gli rispondono. Almeno così dice lui, quando la gente glielo chiede. In questo microcosmo ideale, figlio del 1943, a un certo punto arriva e non arriva David, bimbo ebreo che scappa e si nasconde dagli occhi di tutti. Soprattutto dagli occhi del pubblico. La sua venuta obbliga ognuno a prendere la sua decisione e a fare la sua scelta.

“Sulla scena c’è solo l’Italia e solo il goffo tentativo di raccontare i campi di concentramento e sterminio in una lingua che non è la nostra, ma quella delle valigie, testimoni non più mute, ma sempre difficili da interpretare correttamente, dell’orrore”
Alessandro Izzi

“Il vero problema era riuscire a stare in equilibrio sulla lama del rasoio senza farsi male. Come fare a raccontare la più grande delle tragedie contemporanee senza scadere nella retorica, senza rinchiuderla nel nero di quella brutalità, ma anche senza banalizzarla o peggio ancora ridicolizzarla? Alessandro prende il toro per le corna, sceglie una stazione come luogo della rappresentazione, luogo simbolo del passaggio dalla vita alla morte e sceglie un bambino come emblema della fuga dalla morte per la vita e sceglie le valigie come custodi delle storie, come conchiglie alle quali il bel personaggio di Angelo – il fattorino – accosta il suo orecchio per ascoltarle.”
Maurizio Stammati

La critica

“L’autore lavora, attraverso il meccanismo dell’immedesimazione, profondissimo nel pubblico infantile, su un tema decisivo per la peculiarità psicologica degli spettatori bambini: la paura di essere scoperti, pur senza terrorizzarli. Questo punto è il cuore del contatto tra il testo teatrale e la Shoah. Non c’è un gioco sul sentimentalismo spiccio. Non c’è un lavoro sulla contrapposizione statica, come in La vita è bella, tra vita e morte, tra bene e male. Qui si prova, in un frammento di rappresentazione, a far intuire l’orrore del dover nascondersi. Non c’è bisogno di indugiare sulle conseguenze. Perché il male si annida lì, nel perseguitare e nell’essere oggetti d’odio, prima che nell’universo concentrazionario.”
Carlo Scognamiglio, recensione al testo in Esc@rgot

“L’universalità e l’armonia del linguaggio di questa pièce è un dolce cullare gli animi feriti dalla crudeltà dell’uomo che come in tutte le fiabe più belle viene emblematicamente sconfitto grazie all’amore di un bambino, futuro e speranza di un mondo migliore.”
Monia Manzo (Close-up)

“I molteplici riferimenti storici, letterari e cinematografici, che spaziano dall’ironia dei racconti yiddish alla base del breve intermezzo con i burattini, ai testi di Primo Levi e a film come Train de vie e La vita è bella (a Benigni è anche ispirato il nome dello stolto fascista Roberto) vengono interiorizzati all’interno di un piccolo racconto morale che sfiora la purezza narrativa di Gianni Rodari, soprattutto negli interventi di Angelo, una sorta di Candide, adulto ancora in contatto col suo io bambino e perciò in grado di capire il “valigiese”, la lingua delle valigie, che raccontano “la storia di tanti e nessuno”.
Fabiana Proietti (Sentieri Selvaggi)

Lo spettacolo – rievocando un topos consolidato come quello del treno – riesce nell’intento didattico, perché comunica messaggi complessi con parole semplici e con immagini forti, insistendo molto sul rapporto tra le idee e le parole stesse.
Martina Micillo (Forumnews)

Un testo scritto per il teatro che sembra adattarsi perfettamente anche ad una lettura come semplice racconto, oppure come rievocazione storica ma con un linguaggio semplice e al tempo stesso diretto e quasi poetico, che non nasconde ma -anzi rafforza ancora di più- l’assurda atrocità di quelli anni ancora oggi inspiegabili.
Roberto Zadik (Mosaico)

Non sono tempi belli per i bambini ebrei in Italia e, tra cinegiornali che manipolano la realtà e notizie di Roma colpita dai bombardamenti degli Alleati, in scena troviamo la già citata ferrovia spezzata, dei lampioni, una panchina, che ci riportano a L’uomo dal fiore in bocca di Pirandello, l’ufficio della stazione dove campeggia il gabbiotto di Alessia e un orologio, simulacro quest’ultimo di un tempo malato che gira a vuoto. Le luci sono soffuse, sempre minacciate dall’ombra e diventano testimonianza della strategia di Angelo e Michele per salvare il piccolo David.
Giammario Di Risio (Close-up)

Il testo della commedia è edito da deComporre edizioni.

PHOTOGALLERY
Foto realizzate da Andrea De Meo

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